A proposito di stupro.

La normativa penale, sino alla riforma introdotta nel 1996 con la legge n. 66 (che ha inquadrato i reati di abuso sessuale nei reati contro la libertà personale),  ha rispecchiato una concezione nella quale non veniva tutelata la libertà personale della donna, bensì il potere che su di essa esercitavano il marito o la famiglia, o comunque l’interesse pubblico alla tutela della morale. La legislazione in tema di abuso sessuale nei confronti della donna risente fortemente della concezione della figura della donna nella società.

 

Lo stupro nel:

Diritto romano

Medioevo

Periodo borbonico

Codice napoleonico

Codice toscano

Codice sardo

Codice Zanardelli

Codice Rocco

Diritto contemporaneo

 

 

 

Nel diritto romano il concetto di stupro era molto ampio, in quanto indicava la congiunzione carnale con una donna di onesti costumi, anche in assenza di violenza, dal momento che ad essere tutelata non era la donna, soggetta alla potestà del marito o del padre, bensì la persona del marito o del padre. Ciò che rilevava era la lesione arrecata all’onore della famiglia dell’uomo e non alla donna.

 

Nel Medio Evo la semplice congiunzione carnale, consenziente la donna, anche se libera, fu punita in virtù di una diversa concezione della donna, quale creatura dalla mente più labile e quindi bisognosa di protezione, al pari del minore. Invero si presumeva che la donna avesse acconsentito alla congiunzione carnale in quanto sedotta. In coerenza con tale orientamento si affermò la regola, secondo la quale se la seduzione della donna era avvenuta con la promessa di un matrimonio, si imponeva all’uomo o di sposarla, o di costituirle una dote, al fine di evitare la pesante sanzione penale (matrimoni riparatori).

 

 

Le leggi napoletane, dettate nel periodo della occupazione borbonica,  furono ispirate ad una ancora diversa concezione della donna, come seduttrice, ovvero come istigatrice dell’uomo, il quale si sia lasciato andare perché imbattutosi in una donna che non ha saputo conservare l’onore della famiglia. In tale ottica, per potersi configurare il reato di stupro, era indispensabile verificare la esistenza di una vera e propria condotta violenta da parte dell’uomo.

 

Anche il Codice Napoleonico, che fortemente influenzò il diritto penale italiano, puniva lo stupro in quanto commesso con violenza, ma nell’ottica di tutela del pudore pubblico, motivo per il quale venivano puniti duramente tutte le forme di attentato al pudore commessi con violenza (anche diversi dalla congiunzione carnale) con la pena della casa di forza: il soggetto che si macchiava di tale delitto veniva chiuso in una particolare struttura ed impiegato in attività lavorativa per un periodo da cinque a dieci anni; qualora il reato fosse stato commesso ai danni di persona di età inferiore ai 14 anni la pena era quella dei «ferri a tempo determinato» o dei «ferri a vita» qualora l’autore fosse stata una persona dotata di autorità o un insegnante o un pubblico funzionario o un ministro del culto.

 

Il Codice toscano del 1853 introdusse per la prima volta il reato di “violenza carnale”, inserito nell’ambito della duplice tutela del pudore e dell’ordine delle famiglie. Il delitto di stupro si configurava solo nella ipotesi della deflorazione con violenza e la pena era la casa di forza da 4 a 12 anni. Inoltre erano sanzionate le fattispecie dell’oltraggio al pudore commesso con violenza (gli atti di libidine, diversi dalla congiunzione carnale), punito con pena detentiva da 1 a 5 anni e lo stupro con seduzione mediante promessa di matrimonio di donna libera, punito con pena detentiva da 2 a 5 anni.

 

Il codice sardo del 1859, che fu esteso in tutto il Regno d'Italia, ad eccezione della Toscana, distingueva lo stupro violento, punito con la detenzione fino a 10 anni, dal violento oltraggio al pudore che veniva punito con pene diverse a seconda che fosse stato commesso in privato (carcere fino a tre mesi e multa fino a £.200) o in pubblico in modo da eccitare pubblico scandalo (carcere fino a sei mesi e multa). Era ancora previsto lo stupro con seduzione mediante promessa di matrimonio, ma veniva introdotto un limite ovvero il reato si configurava solo ove la vittima fosse di età inferiore ai 18 anni; la pena era del carcere fino a tre mesi e  multa. 

Il codice Zanardelli del 1889 non adottò più il termine stupro, ma fece sua l’espressione del codice toscano “violenza carnale” punendolo con la reclusione da tre a dieci anni. Il reato fu inserito tra i delitti contro il buon costume e l'ordine delle famiglie e, accogliendo una concezione che valorizzava in qualche modo la determinazione della donna, non prevedeva lo stupro con seduzione mediante promessa di matrimonio. Questa figura venne nuovamente inserita nel codice Rocco del 1930 che la punì, in caso di minore età della donna, con la reclusione da 3 mesi a 2 anni. Va sottolineato che il codice Rocco, pur ricollegando per la prima volta i reati di violenza carnale alla libertà sessuale non la considerava come un diritto vantato dalla vittima, bensì comunque come espressione dell’interesse al rispetto della pubblica moralità.

 

La legge del 1996 n. 62 ha modificato la normativa del codice penale prevedendo un’unica categoria di abuso sessuale, per cui non ha più ragione di esistere, se non a livello teorico, la distinzione tra violenza carnale, tentativo e atto di libidine. Va altresì sottolineato che, mentre nei codici precedenti, era prevista come aggravante della pena la circostanza che l’autore della condotta violenta fosse persona dotata di autorità o un insegnante o un pubblico funzionario o un ministro del culto, nella normativa vigente, ai fini della configurazione del reato di violenza sessuale, l’abuso di autorità non è una mera aggravante (che presuppone comunque la violenza o la minaccia), ma può essere elemento costitutivo alla pari della violenza o delle minacce.

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